Fino ad alcuni anni fa, per valutare la funzionalità cardiorespiratoria, ci si basava esclusivamente sul rilievo a riposo della frequenza cardiaca, pressione arteriosa e di alcuni dei parametri statici della funzione respiratoria.
E’ apparso però evidente come questi dati rilevati a riposo dicevano ben poco del modo in cui il sistema cardiorespiratorio di un soggetto potesse rispondere durante il lavoro. Ormai è consuetudine ricorrere a prove da sforzo a carichi crescenti per poter valutare la risposta funzionale della frequenza cardiaca, dell’ECG, della pressione arteriosa, della ventilazione e del consumo di ossigeno durante il lavoro.
I risultati di questi test sono utili per l’impostazione dell’esercizio fisico e permettono all’istruttore o al medico di valutare eventuali cambiamenti intervenuti nella funzione cardiorespiratoria, valori comunque dipendenti da un ricondizionamento fisico, età, malattie o inattività.
Tra i motivi che rendono necessario l’esecuzione di una prova da sforzo vi sono i seguenti:
1) Determinare la risposta della funzione cardiorespiratoria a riposo e durante un lavoro submassimale e/o massimale.
2) Fornire una base per la programmazione dell’esercizio fisico.
3) Effettuare un controllo in caso di malattia cardiocircolatoria.
La pratica dei test, in un fitness club, non ha grosse limitazioni per quanto riguarda le prove submassimali, mentre per le prove di tipo massimale è obbligatoria la presenza di personale specializzato.
Ricordiamo che, secondo l’attuale legislazione italiana, tutti coloro che intendono praticare attività fisica in ambito sportivo a carattere non agonistico debbono sottoporsi annualmente ad una visita medica che ne accerti lo “stato di buona salute”, tramite la cosiddetta idoneità alla pratica sportiva non agonistica, per la quale è sufficiente la sola visita clinica. Tuttavia si ritiene opportuno eseguire almeno un ECG a riposo, una spirografia ed esame delle urine, riservando di richiedere ulteriori accertamenti specialistici ed eventualmente una prova da sforzo.
Delle indicazioni più precise ci vengono fornite dall’American College of Sports Medicine (ACSM) la quale stabilisce dei controlli specifici a seconda della tipologia del soggetto che intende intraprendere un programma di esercizio fisico. A seconda del sesso, età, livello di rischio cardiaco, viene stabilita la necessità o meno di richiedere l’esecuzione della prova da sforzo di tipo massimale o submassimale.
I TEST DI VALUTAZIONE FUNZIONALE
Esistono diversi tipi di test atti a valutare la capacità funzionale di un soggetto. Possiamo distinguere i test in due diversi tipi:
I test diretti comportano il rilievo delle risposte fisiologiche di una persona sottoposta alla prova, monitorando direttamente i parametri interessati durante il lavoro (VO2, Ve, FC, PA, ECG, etc.). Per questo tipo di test sono necessarie apparecchiature adatte a tali misurazioni riservate a laboratori specializzati nella valutazione medico-sportiva.
I test indiretti invece stimano la capacità funzionale del soggetto tramite la rilevazione di valori correlati al VO2 (FC, intensità’ del lavoro, tempo di esaurimento, distanza percorsa, tempo impiegato su una determinata distanza).
Generalmente questi valori possono essere rilevati con semplici strumenti (cardiofrequenzimetro, cronometro, etc..) o tramite l’utilizzo di ergometri (nastro trasportatore, cicloergometro, gradino, vogatore) ormai diffusi in tutti i centri sportivi e fitness club.
TEST DI COOPER
Si possono avere delle buone indicazioni sulla resistenza cardiorespiratoria di una persona calcolando il tempo impiegato in corse di resistenza per una data distanza o la distanza percorsa in un dato tempo. Tra i vantaggi connessi con questo tipo di valutazione citiamo la alta correlazione con il VO2max e l’ampio numero di soggetti che si possono sottoporre a controllo in breve tempo.
Per questo il test “da campo” più comunemente usato nella valutazione cardiorespiratoria è la corsa per 12 minuti reso popolare dal dott. Kenneth Cooper (test di Cooper). Lo scopo della prova è quello di valutare la velocità media mantenuta durante i 12 minuti di corsa. Il test si basa sulla correlazione esistente tra la velocità di corsa e il VO2 necessario per correre a quella determinata velocità.
E’ necessario che il test venga eseguito correndo continuativamente altrimenti verrebbero sovrastimati i valori di VO2max di coloro che camminano durante l’esecuzione del test (questo perché la camminata ha un costo energetico inferiore rispetto alla corsa).
TEST IN PALESTRA
Le prove da sforzo a carichi crescenti vengono abitualmente utilizzate nella valutazione della funzionalità cardiorespiratoria nel caso fossero disponibili ergometri specifici. In questo caso faremo riferimento ai test effettuati sugli ergometri più diffusi nelle palestre, come il nastro trasportatore (tapisroulant), cicloergometro (cyclette), gradino, con i quali si possono ottenere dei valori di stima molto vicini alla realtà.
Il vantaggio di questo tipo di test è che si possono tenere sotto controllo le risposte fisiologiche del soggetto durante il lavoro (PA, FC, ECG), in modo da determinare una stima più precisa della capacita funzionale di una persona.
La capacità funzionale viene definita come il più alto carico di lavoro (VO2max) raggiunto in una prova a carichi crescenti durante la quale le risposte della FC, PA e ECG si siano mantenute entro livelli considerati normali. I protocolli normalmente utilizzati sono di tre tipi:
L’utilizzo di un determinato protocollo è stabilito in base al tipo di soggetto testato (atleta, soggetto normale, cardiopatico, etc.), infatti se gli incrementi dei vari stadi del test sono troppo grandi relativamente alla funzionalità cardiorespiratoria del soggetto o se la durata di ogni stadio è troppo breve, il soggetto potrebbe non riuscire a raggiungere la richiesta di ossigeno allo steady state associata a quel carico di lavoro; questo comporterebbe una sovrastima del VO2 ad ogni stadio e del VO2max.
In base al criterio di interruzione adottato per terminare il test possiamo suddividerli in test massimali e sub massimali. Nel primo caso il test viene protratto fino all’esaurimento volontario (test massimale), mentre nel secondo caso il test viene fatto terminare di solito quando il soggetto raggiunge una certa percentuale della FC massima (test sub massimale).
Sull’opportunità di usare test submassimali o massimali sono sorte controversie. Sulla base di dati tratti da migliaia di prove da sforzo si consiglia in genere di ricorrere ad un test massimale per stabilire la presenza di malattie cardiache e per la valutazione di atleti.
I test submassimali non sono altrettanto efficaci nell’evidenziare condizioni morbose, ma rappresentano un buon strumento per valutare lo stato di forma prima e dopo un programma di esercizio fisico per qualsiasi tipo di soggetto. Uno dei vantaggi dell’utilizzo di test submassimali è che non richiede la presenza di personale specializzato durante l’esecuzione. Tra gli svantaggi dei test submassimali vi sono la minore sensibilità nell’individuare risposte anomale all’esercizio fisico e una certa variabilità di errore nella valutazione della capacità funzionale pari a circa il 10-20%, dovuta alla variabilità della FCmax reale rispetto a quella presupposta (FCmax teorica =220 - età).
A seconda del tipo di soggetto verranno variate la durata, i punti d’inizio e gli incrementi tra gli stadi utilizzando così protocolli di test diversi. In genere se i test vengono usati per valutare le variazioni sulla funzionalità cardiorespiratoria dopo un determinato periodo di allenamento, si possono allora utilizzare stadi da 1-2 min. Se però l’obiettivo è di valutare il VO2max, il tempo per ogni stadio dovrebbe essere di almeno 2-3 minuti.
E’ però richiesta un’alta motivazione da parte del soggetto durante l’esecuzione di un test di tipo massimale, cosa che spesso induce in misurazioni poco attendibili soprattutto con individui poco allenati. Per ovviare a ciò inizialmente si può ricorrere a test submassimali. Molti protocolli di test massimali possono essere utilizzati anche per i test submassimali, ma vengono interrotti al raggiungimento della frequenza cardiaca stabilita (di solito entro l’85% della frequenza cardiaca massima teorica).
I test submassimali si basano su due assunzioni fondamentali:
1. esiste una relazione lineare tra frequenza cardiaca, apporto di ossigeno ed intensità di lavoro
2. gli individui della stessa età hanno mediamente la stessa frequenza cardiaca massima.
Il rapporto tra frequenza cardiaca e VO2 è di tipo rettilineo per carichi di lavoro leggeri o moderati, mentre con carichi pesanti tende a diventare curvilineo. Infatti, con questo tipo di test, il VO2max viene generalmente sopravvalutato negli atleti altamente allenati e sottovalutato nei soggetti sedentari o poco allenati.
In pratica durante un test submassimale l’operatore deve rilevare la frequenza cardiaca in corrispondenza di carichi di lavoro prefissati e tali da non innalzare il battito al di sopra dell’85% della frequenza cardiaca massima.
Nell’esempio che segue, è stato utilizzato un protocollo Balke standard su nastro trasportatore (3 mph, pendenza + 2,5% ogni due minuti). Il test è stato interrotto al raggiungimento dell’85% della frequenza cardiaca massimale teorica. In questo caso è stata stimata la massima potenza aerobica estrapolando la risposta della frequenza cardiaca rispetto alla massima frequenza cardiaca teorica.
Per valutare il VO2max si traccia una linea attraverso i vari punti in cui si verifica un innalzamento lineare della frequenza cardiaca (da 110 b/min. a 155 b/min.). Si estende la linea fino alla frequenza cardiaca massima teorica (183 b/min.) e poi si abbassa una linea verticale dall’ultimo punto verso l’ascissa per valutare la massima potenza aerobica pari a 11.8 MET (41.3 ml/kg/min. di ossigeno).
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Vietata qualsiasi riproduzione, anche parziale, di questo testo senza autorizzazione scritta
Estratto dal manuale del corso su Valutazione funzionale ed antropometria dello stesso autore
a cura di M.Romanazzi PhD
Docente facoltà di Scienze Motorie di Torino
Ricercatore
Esperto in teoria dell'allenamento
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