Esistono delle priorità di cui tenere conto quando si intraprende un percorso per entrare nel mondo del lavoro sportivo, come fitness trainer, con tutte le prerogative che dovrebbero essere rispettate per evitare errori.
Diversamente da quanto si tende a credere, il ruolo del fitness trainer, che in molti casi evolve poi in personal trainer, è molto più complesso e deve essere analizzato nel dettaglio perché se ne possa cogliere la reale ampiezza e attribuire così il giusto valore ad un percorso che accompagni il futuro tecnico a conseguire quella preparazione necessaria che andrà poi a soddisfare le esigenze degli assistiti in termini di sicurezza e qualità.
Il fitness trainer, inteso in senso stretto e non nell’accezione più ampia del termine che raccoglie qualsiasi tipologia di istruttore impegnato in palestra a prescindere dall’ambito d’insegnamento, è quel tecnico che si occupa di assistere, guidare e sostenere chi, grazie ad un allenamento individuale e personalizzato, generalmente ma non necessariamente con l’utilizzo di sovraccarichi, desidera raggiungere determinati obiettivi la cui categorizzazione ha negli anni trovato diverse interpretazioni, perlopiù influenzate dalla sensibilità che prevaleva in un dato momento storico.
A partire dai termini più ricorrenti utilizzati negli slogan in voga negli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso, come “benessere” e “bellessere” grazie ai quali si voleva esaltare l’importanza dell’attività motoria in palestra a beneficio dell’aumento della sensazione di benessere e del miglioramento dell’aspetto estetico - che ha caratterizzato l’esplosione del fitness in Italia e nei paesi europei in quel periodo, con il conseguente incremento esponenziale delle palestre che uscivano così da una nicchia di mercato per soli culturisti (poi chiamati body builder) e pesisti - si è passati al concetto di palestra che accoglieva tutti, con le più disparate motivazioni.
Ecco quindi che i fitness club hanno cominciato a riempirsi di persone che inseguivano obiettivi diversificati, in origine sconosciuti al settore, come il dimagrimento, la rieducazione posturale, il ricondizionamento post infortunio, la riatletizzazione, la preparazione atletica per sport amatoriali, oltre naturalmente allo sviluppo muscolare ai fini estetici o agonistici (body building) e all’incremento della forza (power lifting) che in palestra hanno sempre trovato il loro habitat naturale.
A poco a poco il fitness è diventato wellness, abbracciando un concetto di benessere ben più ampio, quindi olistico, che è andato ad investire, con maggiore consapevolezza, anche la sfera della salute mentale e dell’equilibrio psicologico, con un tutt’uno, corpo e mente, che poi è diventato la ragione principale della spinta all’allenamento fisico costante per la salute personale.
Fino poi ad arrivare ai temi più attuali dell’anti-aging e della longevity che accendono un faro, se vogliamo differenziare l’origine dei termini in ragione degli obiettivi e delle motivazioni che incentivano l’esercizio fisico e una serie di pratiche virtuose alla base di uno stile di vita, alla necessità di contrastare l’invecchiamento e all’importanza di mantenersi in salute per più tempo possibile con il risultato, di inestimabile valore, di conservare più a lungo la propria autonomia e qualità della vita anche nell’ultimo tratto della propria esistenza.
Anche in virtù di questa ulteriore sensibilità che sta caratterizzando il nostro tempo ecco che, ai fini di una classificazione per macro categorie, si tendono a considerare come obiettivi principali dell’allenamento in palestra - contro resistenza e cardiovascolare ma allargandosi poi anche alla mobilità articolare e al body mind - : la prestazione fisica, la salute e la longevità. Naturalmente con tutte le interconnessioni che si possono immaginare. Quindi l’allenamento per il miglioramento della performance in un dato sport; l’allenamento per il miglioramento e il mantenimento del proprio stato di salute fisica e mentale; l’allenamento per il contrasto all’invecchiamento con tutte le implicazione che ne derivano.
Da quanto detto, sembra evidente che il ruolo del trainer in palestra si sia profondamente trasformato negli anni, passando dall’essere quello dell’istruttore di cultura fisica a quello di fitness trainer, fino a diventare fitness coach, in cui si possiedono non solo per le imprescindibili capacità tecniche ma anche quelle relazionali che danno voce alle prime. Pertanto un trainer che non sia soltanto un bravo tecnico ma anche un buon motivatore in grado di cogliere ed interpretare i bisogni profondi del proprio assistito e lo sappia guidare, educandolo, a quei comportamenti più virtuosi da tenere anche fuori dai luoghi deputati all’allenamento.
Ma come raggiungere una tale preparazione, comprensiva di così tanti elementi, necessaria a rivestire con autorevolezza e competenza il ruolo di fitness trainer?
Il nostro settore è caratterizzato da una sostanziale deregolamentazione per quanto concerne le carriere nel settore del fitness e i percorsi per il conseguimento dei titoli validi per l’insegnamento, il cui riconoscimento, purtroppo ancora oggi, non tiene conto dell’iter seguito per il loro raggiungimento. Esistono certificati rilasciati dopo una formazione inconsistente e inadeguata della durata di poche ore che hanno lo stesso valore formale di quelli ottenuti attraverso percorsi ben più impegnativi ma che garantiscono una maggiore preparazione. Un po’ come se per diventare medico, fatte le debite differenze, potessero coesistere corsi universitari di differente durata.
La scelta viene quindi lasciata alla discrezionalità degli enti di formazione che operano perlopiù secondo logiche commerciali, sia pure sacrosante, ma che in molti casi tendono a sacrificare la qualità in ragione del profitto. Infatti, risulta essere più appetibile sul mercato una via più breve e meno onerosa, da ogni punto di vista, per ottenere un certificato che consenta di lavorare in palestra rispetto a quella che richiede maggiori sacrifici ma che poi mette in condizione l’operatore di erogare un servizio che rispetti i requisiti minimi.
Del resto, se pensiamo che il nostro settore è composto da realtà costituite per la gran parte in forma di Associazioni Sportive Dilettantistiche (ASD) e Società Sportive Dilettantistiche (SSD) che possono pertanto avvalersi della collaborazione tanto di lavoratori professionisti quanto di lavoratori dilettanti e questi ultimi sono spesso preferiti per i minori costi sopportati dall’associazione o dalla società, riusciamo a comprendere meglio come si sia radicato il convincimento che l’istruttore in palestra possa essere un “dilettante” in senso stretto del termine. Cioè colui che “dimostra scarse capacità, mancanza di esperienza, insufficiente preparazione” (come da dizionario della lingua italiana).
In questo quadro abbiamo palestre in cui lavorano per poche ore alla settimana, anche personal trainer che hanno avuto una formazione di pochi giorni, con scarsa se non assente esperienza, che si prendono in carico persone, i clienti del centro, che pagano un servizio convinti che sia erogato da professionisti, senza sapere che quel tecnico potrebbe essere un laureato in scienze motorie con diverse specializzazioni oppure uno sprovveduto dalla formazione inconsistente.
E’ chiaro che in assenza di una regolamentazione spetterebbe ai centri sportivi selezionare i lavoratori in base al proprio curriculum, valorizzandone, anche economicamente, il loro lavoro e impegno, investendo anche sulla loro preparazione e garantendo ai clienti quel servizio di valore che poi immancabilmente viene pubblicizzato nei propri canali di comunicazione, pur non corrispondendo sempre alla realtà.
E allora quale deve essere l’obiettivo di tutti gli operatori, fermo restando che ci troviamo a muoverci in un contesto definito dilettantistico? Quello di formare e far lavorare una sorta di “dilettante professionista”, se si passa l’ossimoro. Quindi dei trainer che, ancorché impegnati per poche ore alla settimana, siano all’altezza del ruolo che devono rivestire con tutte le prerogative di cui abbiamo parlato.
Per cui, fermo restando che il tecnico più qualificato è quello in possesso di una preparazione accademica a cui seguono le specializzazioni del caso, potendo però coesistere diverse situazioni in cui a queste figure si possono anche affiancare quelle che non hanno alle spalle un percorso universitario, si deve fare in modo da privilegiare quelli che di maggiore consistenza che offrano garanzie nel raggiungimento degli obiettivi minimi auspicabili.
A questo va aggiunto che l’esperienza sul campo maturata in sala attrezzi come istruttore generico a contatto con una quantità rilevante di soggetti, con caratteristiche ed esigenze differenti, a cui rispondere con programmi di allenamento adeguati, serve ad ottenere quelle competenze che poi consentiranno di erogare un servizio di livello superiore come il personal training. Infatti, la moltitudine di casi che ci si trova ad affrontare come istruttore di sala pesi è incomparabilmente superiore a quelli che si possono presentare ad un personal trainer e questo rappresenta un passaggio ideale ed indispensabile per quella crescita professionale che sottende l’accesso da un ruolo all’altro.
Al giovane istruttore è quindi consigliabile, al fine del completamento del proprio percorso, vivere questa esperienza, anche se poco valorizzata, nella prospettiva di diventare un tecnico con maggiore capacità nella posizione di personal trainer.
In conclusione, se non vogliamo continuare ad accettare una situazione destinata a portare soltanto ad uno scadimento della qualità del lavoro di tanti operatori che sono impegnati nel nostro settore, non esistendo dei percorsi obbligati per il conseguimento della qualifica di fitness trainer è necessario che ogni protagonista in gioco faccia la propria parte.
A chi desidera seguire questa strada, anche solo nella prospettiva di coltivare questa passione in un’ottica di secondo lavoro, e quindi come attività secondaria alla principale con un impegno a tempo parziale, si deve consigliare di non farsi abbagliare dalla falsa illusione di ottenere dei risultati accettabili con poco sforzo. Perché non è proprio possibile e questo andrebbe a detrimento dei risultati ottenuti a danno dei propri assistiti, del centro sportivo con cui si collabora e nei confronti della propria professionalità.
Ai fitness club che sono alla ricerca di personale da inserire nel proprio organico, anche se con un monte ore limitato, spetta la responsabilità di selezionare in base ad un curriculum dignitoso ed investire nella preparazione dei propri collaboratori.
Agli enti di formazione dovrebbe spettare il compito di offrire ogni strumento utile per qualificare con serietà operatori dotati di tutti i requisiti necessari a rivestire questo ruolo, abbandonando questa ridicola e deleteria corsa al ribasso ma puntando invece ad un confronto sulla qualità.
Per il bene del settore!
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